TUTTO UN MUSEO SU UNA
“Museo” deriva dal greco antico mouseion, luogo sacro alle Muse, protettrici delle arti e delle scienze.
Nasce come luogo di culto ma con il tempo si trasforma in una sorta di archivio del passato; diventa anche contenitore di testimonianze delle culture e delle opere dei popoli o opera d’arte stessa. Gli edifici adibiti a musei erano aperti al pubblico con scopo divulgativo e didattico o meramente estetico.
Architettonicamente i musei continuano ad adattarsi ai costanti cambiamenti dell’arte contemporanea rendendo gli edifici stessi opera d’arte. In questo clima il gigantismo di queste costruzioni crea smarrimento nel pubblico, spesso distraendolo dalle opere contenute negli stessi.
In passato i musei d’arte, le pinacoteche, composte da gallerie, sale e rotonde, ospitavano verticalmente sulle loro pareti quadri e dipinti.
Oggi si adattano alle esigenze logistiche di installazioni, sculture, fotografie, videoopere e performance sfruttando ogni dimensione dello spazio, divenendo raccoglitori di qualsiasi forma d’arte.
E’ dunque il momento di tornare indietro, di abbattere idealmente il gigantismo degli ambienti espositivi, ove il contenitore supera di sovente il contenuto. Facciamo allora un passo verso Duchamp e le sue opere “portatili”, un passo verso il contenitore pensato per svelare al meglio il contenuto, e non per superarlo.
L’artista, durante la Seconda Guerra Mondiale, realizza “scatole nella valigia”, inserendo in una valigia di pelle 69 miniature di sue opere precedenti (profetizzando la serilizzazione prima di Warhol) come a indicare l’urgenza che l’emigrante ha di portare con sè i suoi oggetti più rappresentativi. In seguito produsse altre 24 valigie progettate da lui e poi altre 280.
Anche noi sentiamo l’esigenza di emigrare verso una nostra dimensione artistica che nulla ha a che vedere con la dimensione fisica.
Qui nasce l’idea del microformato; centinaia di microopere, vezzo e gioco degli artisti pronti a mettersi in discussione lavorando su formati non abituali.
Una sfida di coloro che sono soliti utilizzare grandi supporti; un gioco che è anche una provocazione al gigantismo dell’arte dove, alla non immediatezza del grande, corrisponde una non bellezza.
L’uomo oggi corre così veloce che, per notare qualcosa, questo deve essere di grandi dimensioni; noi non vogliamo essere colpiti passivamente da un masso né rallentare poichè sappiamo dove cercare le pepite.
Con il Barocco è nata l’idea che il vero corrisponde alla vista, che attraverso l’occhio viene colpita la mente e che quindi il fine dell’arte è quello di apparire per sedurre le folle più che gli amatori.
Come si fa però a distinguere i fenomeni di qualità da quelli da baraccone?
Il gigantismo nell’arte non permette alle opere una collocazione e una fruizione in ambienti privati, e le relega al ruolo di oggetti di consumo.
Nel microformato non c’è il grande che anticipa, l’idea dell’opera è più importante dell’opera stessa.
Il progetto “un intero museo su una parete” non prevede una rielaborazione microscopica di un ambiente artistico pubblico e nemmeno una negazione o un rifiuto di esso. Tende a mostrare ciò che è altro.
Una Lilliput dell’arte, il microcosmo completo di un gigante museo su una sola parete. Una mostra di opere portatili per chi necessita di avere sempre con sè dell’arte, una necessità di vita non una necessità del museo…. Un museo con sede vagante
O per poter un giorno dire anche noi:
«Tutto quello che ho fatto di importante potrebbe stare in una piccola valigia» tanto per citare il solito Duchamp
